Federico II nel giudizio dei contemporanei
Riportiamo tre brani di cronisti contemporanei all’imperatore Federico II. I primi due brani sono di scrittori guelfi, il fiorentino Giovanni Villani e il frate francescano di Parma Salimbene de Adam; il terzo è del cronista siciliano Nicolò di Iamsilla, autore di una Storia delle Gesta di Federico II imperatore e dei suoi figli Corrado e Manfredi.
I. Tenne vita quasi epicurea.
Negli anni di Cristo 1220 il dì di Santa Cecilia di novembre [22 novembre], fu coronato e consacrato a Roma a imperatore Federigo secondo re di Cecilia, figliuolo che fu dell’imperadore Arrigo di Soavia, e della imperatrice Costanza, per papa Onorio terzo a grande onore. Al cominciamento questi fu amico della Chiesa e bene dovea essere, tanti beneficii e grazie avea dalla Chiesa ricevute: che per la Chiesa il padre suo Arrigo ebbe per moglie Costanza reina di Cecilia, e in dote il detto reame e il regno di Puglia, e poi morto il padre, rimanendo piccolino fanciullo, dalla Chiesa, come da madre, fu guardato e conservato, e eziandio difeso il suo reame, e poi fatto re dei Romani eleggere, contro a Otto quarto imperatore, e poi incoronato imperadore come di sopra si è detto. Ma egli figliuolo di ingratitudine, non riconoscendo santa Chiesa come madre ma come nemica matrigna, in tutte le cose fu contarario e perseguitatore, egli e i suoi figliuoli quasi più che i suoi anticissori, siccome inanzi di lui faremo menzione. Questo Federigo regno trenta anni imperatore, e fu uomo di grande affare e di gran valore, savio di scrittura, e di senno naturale, universale in tutte cose; seppe la lingua latina, e la nostra volgare, tedesco, e Francesco, greco e saracinesca, e di tutte virtudi copioso, largo e cortese in donare, prode e savio in arme e fu molto temuto. E fu dissoluto in lussuria in più guise, e tenea molte concubine e mammalucchi a guisa dei Saracini: in tutti i diletti corporali volle abbondare, quasi vita epicurea tenne, non facendo conto che mai fosse altra vita; e questa fu l’una principale ragione perché venne nemico de’ chierici e di santa Chiesa.
Giovanni Villani, Cronica, VI, 41.
II. Un grande uomo, se avesse amato Dio, la Chiesa e la propria anima.
E Federico fu uomo pestifero e maledetto, scismatico, eretico ed epicureo, corruttore di tutta la terra, giacché seminò il seme della divisione e della discordia nelle città d’Italia, tanto che dura fino ad oggi […].
Pertanto sembra verificata in Federico quella profezia dell’abate Gioacchino[Gioacchino da Fiore, mistico e profeta calabrese, fondatore dell’Ordine florense] che all’imperatore Enrico suo padre, [il quale chiedeva cosa sarebbe diventato nel futuro il figlio], rispose: “Perverso il tuo bambino! Cattivo il tuo figlio ed erede! Oh, Dio! Sconvolgerà il mondo e calpesterà i santi di Dio”.
Nello stesso modo si attaglia a Federico quello che il signore disse di Assur, ossia di Sennacherib, a mezzo di Isaia 10: “Il suo cuore era per l’annientamento e lo sterminio di non poche nazioni”. Tutto questo si compì in Federico, come abbiamo visto coi nostri occhi, noi che ora siamo nel 1283, anno in cui scriviamo, la vigilia della festa della Maddalena [21 luglio]. Nota che Federico quasi sempre amò aver discordia con la Chiesa, e la contrastò in molti modi. Proprio la Chiesa, che lo aveva nutrito e difeso ed elevato. Della fede in Dio non ne aveva neanche un po’. Era un uomo astuto, sagace, avido, lussurioso, malizioso, iracondo. E fu uomo valente qualche volta, quando volle dimostrare le sue buone qualità e cortesie: sollazzevole, allegro, delizioso, industre. Sapeva leggere, scrivere e cantare; e sapeva comporre cantilene e canzoni. Fu bell’uomo e ben formato, ma era di stature media […].
Ancora sapeva parlare molte e svariate lingue. E, per farla corta, se fosse stato veramente cattolico e avesse amato Dio e la Chiesa e la propria anima, avrebbe avuto al mondo pochi uguali a lui nell’autorità.
Salimbenede Adam, Cronaca, pp. 43-44, 484, trad. di B. Rossi, Radio Tau, Bologna 1987.
III. Soccombette solo alle leggi della morte.
Fu certo uomo di grande cuore, ma temperò la sua magnanimità con molta saggezza che ebbe dentro di sé, così che mai lo spinse a fare alcunché la precipitazione, ma sempre si accinse con ponderato calcolo ad ogni sua cosa. Certo avrebbe fatto cose più grandi di quelle che fece se avesse potuto seguire gli impulsi del suo animo senza il freno della filosofia. Poiché egli era amante della filosofia, che coltivò egli stesso e fece diffondere nel suo regno. Al momento del suo avvento felice vi erano pochi o punti uomini di lettere nel regno di Sicilia. Ma l’imperatore stesso istituì scuole di arti liberali e di ogni onorata scienza nel suo stesso regno, attirando dotti da ogni parte del mondo con generosi premi e stabilendo uno stipendio fisso tanto per loro quanto per gli studenti poveri a spese del suo proprio tesoro, affinché gli uomini di qualsiasi condizione o fortuna non si trassero indietro dallo studio della filosofia per alcuna circostanza di povertà. Lo stesso imperatore per il suo grande intelletto, che era particolarmente ammirevole nella scienza naturale, compose un libro sulla natura e l’allevamento degli uccelli, in cui appare chiaramente quanto fosse amante del sapere lo stesso imperatore. Tanto amò ed onorò la giustizia che a nessuno fu vietato contendere in giudizio addirittura con lo stesso imperatore per il proprio diritto ed egli non si avvaleva dell’altezza del potere imperiale, in modo da essere uguale davanti alla giustizia con colui che seco contendeva. E nessuno avvocato esitava ad assumere la difesa di chiunque, fosse anco il più povero, dato che l’imperatore medesimo aveva stabilito che questo fosse permesso, stimando che fosse preferibile salvare la giustizia, magari col proprio danno, che vincere la causa. Tuttavia amò la giustizia in modo tale che ne temperò il rigore con la clemenza. Per l’odio dei suoi avversari fu colpito da diverse avversità, ma in nessun modo fu da loro atterrato poiché la sola virtù della sua sagacia lo protesse. E benché talora si levasse a colpirlo il tradimento di qualche suo familiare […] e benché la Lega lombarda, che aveva radunato le proprie forze per il suo sterminio, potesse all’improvviso mettere alla prova la sua grandezza d’animo con la propria casuale vittoria, egli tuttavia fu glorioso fino all’ultimo giorno della sua vita e visse in modo da essere ammirato per tutto l’orbe della terra, ed egli che era stato insuperabile per tutti, soccombettesoltanto alle leggi della morte.
Nicolò di Iamsilla,Storia delle Gesta di Federico II imperatore e dei suoi figli Corrado e Manfredi in trad. di A. Saitta, Antologia di documenti e di critica storica, vol. I, p. 330, Roma-Bari, Laterza, 1988.