Assedio di Bari da parte di Roberto il Giuscardo
Nel 1068 Roberto il Guiscardo inizia un lungo assedio alla città di Bari, in quel periodo sotto il dominio bizantino. La cronaca dell’assedio durato tre anni è riportata da Guillaume De Pouille, La geste de Robert Guiscar, in N. Lavermicocca, Bari bizantina. Capitale mediterranea, edizioni di pagina, Bari 2003, pp. 105-111.
Appena giunto, predispone l’assedio contro i Baresi. Allora non c’era nessuna città che superasse Bari in opulenza; perciò l’assedia per le sue ricchezze e per i suoi difensori, in modo che, soggiogando i potenti di una così grande città, possa terrorizzare a morte anche le città più piccole, non ancora arrese. Quella era ritenuta la più importante di tutte le città dell’Apulia. Il Duca dispone i soldati negli accampamenti e nel mare antistante le navi portate dalla Calabria. I cittadini invocano il soccorso del Sacro Palazzo [di Costantinopoli]; anche gli avversari mandano messaggeri insieme ai cittadini fedeli e tutti concordemente chiedono l’aiuto imperiale. Il Duca invece manda a dire ai Baresi di consegnargli la dimora di Argiro, che sovrastava tutte le case vicine, sperando che, dopo essersene impadronito, la città intera si arrenda. I Baresi diedero al Duca una risposta sdegnata.
Allora attacca con forza i difensori della città, che resistono gagliardamente, per nulla spaventati dalla lotta. Fa avanzare fin sotto le porte dei graticci, sotto i quali i soldati possono attaccare i nemici, e ordina di costruire una torre di legno che incomba sulle mura, difesa da una parte e dall’altra da una barriera di pietre, insieme ad altri congegni capaci di abbattere le muraglie. Ma i cittadini si difendono con non minor valore, non chiusi dentro, ma disposti davanti alle mura a battagliare con i soldati del Duca, che mettono in fuga o fanno cadere sotto i loro colpi. Come succede in guerra, il nemico fugge o è messo in fuga, assale ed è assalito, tornando all'attacco, ferisce ed è ferito.
Come due cinghiali combattono digrignando i denti, azzannandosi l’un l’altro, mentre cola dal muso la saliva e affondano i denti con morsi feroci nelle loro terga, oppure si feriscono con gli zoccoli o colpi vigorosi ai fianchi e tutti e due resistono rabbiosamente, rifiutandosi di cedere, finché le lacerazioni nel corpo del cinghiale soccombente e i suoi ripetuti grugniti non lasciano intendere che si appresta a fuggire, ormai battuto; così i Normanni attaccano furiosamente, ma i Baresi resistono non meno accanitamente. Sono accostate nuove macchine d’assedio alle mura, nelle quali, fatta una breccia, si possa aprire ai Normanni un varco in città, impedito da uno stretto camminamento del terreno fortificato, circondato da ogni parte dal mare, non proprio come un’isola. Su questo lato erano state piantate le tende dell’accampamento del Duca.
Con le navi ordinate a battaglia sul mare dall’altro lato, impediva l’uscita dei navigli baresi, mentre costruì un proprio porto ed un ponte verso la città, difeso da una torre, sicché nessun cittadino poteva lasciare le mura, mentre la flotta normanna, posta così al sicuro, sorvegliava il porto nemico. Ma i Baresi riescono a conquistare la torre e a precipitare in acqua un gran pezzo del ponte, sotto i loro colpi; insomma gli abitanti difendono strenuamente la città da terra e dal mare. Allora Roberto, disperando di prendere le mura di Bari con le armi, comincia a fare molte promesse agli aristocratici, il cui partito era il più forte, e ai più potenti: allettando i nobili, pensa che possa essere più facile conquistare con promesse e doni anche i meno importanti; tuttavia fa anche continue minacce per incutere spavento agli assediati, adoperando ogni mezzo per la resa della città, la cui conquista desiderava bramosamente. Intanto si sparse la voce che stava per arrivare in aiuto Gocelino con un buon numero di navi inviate dall’imperatore; il Duca inviò subito delle vedette per catturarlo. A Bari governava, per rescritto imperiale, il catapano Stefano detto Paterano, uomo di grande probità, degno di ogni elogio, fuorché per aver ordito l’assassinio del grande Duca. In città si trovava un soldato, offeso tempo addietro in maniera grave da Roberto, un forestiero, pronto ad ogni impresa, tronfio, irascibile, ma audace. Stefano lo induce a penetrare nell'accampamento nemico e a colpire con un giavellotto il Duca, in un momento di imprudenza e di notte, promettendogli una forte somma di danaro, se quello fosse morto. Memore dell’offesa e per il desiderio di lucro, il soldato si avviò di notte a spiare l’accampamento, non trovando ostacoli di sorta, fino ad accostarsi al riparo del Duca Roberto, che egli stesso aveva provveduto a coprire di frasche e circondare di sterpi, per meglio difendersi dal freddo invernale. Calata la sera, si era seduto per cenare. Il soldato, visto lo sgabello dove sedeva il Duca, scagliò in quella direzione, tra le frasche, il giavellotto, ma un improvviso groppo di saliva in bocca costrinse intanto Roberto a chinare il capo sotto il tavolo e il giavellotto andò a vuoto, infiggendo un colpo inutile. Tornato di corsa in città il soldato, si diffuse la voce che il Duca era stato ucciso. I Baresi ne sono rallegrati e tutto il popolo festante eleva alte grida fino al cielo. Ma mentre gridavano, il Duca si fa avanti, testimoniando di persona la sua incolumità e dichiarando vane le loro grida di giubilo. Udendo la sua voce, cessò del tutto ogni clamore, e fu data fine al loro gaudio, alla fine del discorso del Duca. Un ambasciatore di Bari, inviato a Palazzo, invoca aiuti per i suoi concittadini. Si allestiscono allora delle navi come quelle dei pirati e si ingiunge di caricare frumento e armi, in modo che la flotta possa attraversare il mare in tutta sicurezza fino alla città, per mettere fine alle sue privazioni, senza paura per i marinai. Per ordine imperiale a capo delle navi è preposto Gocelino il Normanno, che era fuggito a Costantinopoli, per timore del Duca, da cui era odiato per aver ordito una congiura contro di lui.
Con navi ed armati Gocelino giunse rapidamente in tempo per dar coraggio ai cittadini angosciati e già si trovava al largo delle mura, aspettando la notte per un ingresso più sicuro al porto, quando ad un tratto gli venne addosso la flotta di Roberto per impedirgli di portare soccorso agli assediati. Sebbene fosse notte, le navi del Duca attaccarono con impeto.
I Greci pensavano di avere ragione facilmente dello scontro perché conoscevano bene i luoghi, mentre i Normanni avrebbero avuto la peggio perché non pratici. E invece, dopo lungo assalto, è presa finalmente la nave di Gocelino e lui stesso condotto prigioniero dal Duca. Fu affondata anche un’altra nave greca, mentre le altre riuscirono a dileguarsi.
I Normanni, che fino ad allora erano impreparati ad una guerra sul mare, appena tornarono vincitori, portarono nuove speranze di vittoria al Duca. Egli avverte che i Greci non hanno portato sulle navi granché di sostegno ai cittadini, in grado di stornarne l’assedio; si rallegra perciò molto anche per la sorpresa del trionfo nello scontro navale e si augura pertanto di affrontare con maggiore fiducia con i suoi Normanni le battaglie sul mare.
Gocelino, chiuso per lungo tempo in carcere, menando una grama esistenza, trovò la fine dei suoi tormenti nella morte, dopoaver patito molte sofferenze. Sopraggiunse intanto il terzo anno dell’assedio di Bari. Alla fine la città è vinta, stanca del prolungato conflitto, ma soprattutto per la fame. Un certo Argirizzo era ritenuto allora il più influente cittadino; il Duca ritiene che, se lo convince a consegnargli la città, sarà più facile domare gli altri concittadini, perché i potenti sono in grado di piegare la volontà dei più deboli in qualunque direzione essi vogliano. Roberto mostrò verso i Baresi una sorprendente benevolenza e poiché conservava sempre simpatia verso coloro che aveva attratto a sé, da questi ne era ricambiato in ugual misura. Decise allora il Duca di restituire agli assediati tutto ciò che era stato loro sottratto con la violenza o con l'astuzia: campi, orti, fondi, ogni cosa perduta; ai Baresi non arrecò alcun torto, né permise che altri infierisse su di loro. E ai cittadini, assueti già a pagare un tributo ai Normanni, dona ampia libertà.
Mosso a pietà della canizie di Stefano Paterano, rifiutò di trattarlo da nemico; ché anzi, dimenticando il tentativo dell’assassinio da parte sua, si adopera per mostrargli benevolenza e, senza punirlo, lo trattiene in libertà controllata, preso prigioniero insieme alla città di Bari, fra lo stupore dei Greci. Dopo essersi trattenuto per qualche giorno da vincitore, avverte infine i Baresi di tenersi pronti con le armi e il danaro perché marcino con lui dovunque lo vedranno dirigersi e li conduce allora insieme ai Normanni fino alla città di Reggio.